L'apparenza in Ghana

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On Listening – Ottobre 2012

Cos’ho ascoltato di bello e di brutto in questo mese? Vediamolo e ascoltiamolo in questa rubrica priva di ogni logica

Bon Iver – Bon Iver [2011] – BAD
Dopo quasi quattro anni dal fortunatissimo “For Emma, Forever Ago”, ecco finalmente il ritorno del progetto folk Bon Iver. Questa seconda uscita non porta grandi stravolgimenti al percorso già segnato in precedenza. L’intero album è praticamente un continuum di ballad in salse diverse, che danno un costante ed evocativo senso di piacevole spaesatezza. I brani tuttavia non riescono ad incidere più di tanto, facendo, nella maggior parte dei casi, fatica a rimanere “impressi”.

Brunori Sas – Vol. 1 [2009] – VERY GOOD
Il fantastico album d’esordio di quello che attualmente è il miglior cantautore italiano. Sì, a dirlo sono io, ma basta dare appena un primo, distratto ascolto a Vol. 1 per capire quanto io abbia ragione. Basta mettersi le cuffie, mettere play ed ecco che cominceremo a sentire… emozioni. Non c’è bisogno di chissà cosa. Brunori Sas canta la quotidianità, la quotidianità di tutti, accompagnata da una deliziosa, minimale ma mai stucchevole base musicale. Un album che fa emozionare è un bell’album, e Vol. 1 rientra in questa categoria.

Death Grips – The Money Store [2012] – GOOD
Senza dubbio l’album più cazzuto del 2012. Un hip-hop crudo portato all’estremo della sperimentazione, con suoni sempre diversificati e che non scendono mai sotto la soglia del “sono incazzato nero”. Un signor album insomma, che forse ha il suo unico difetto nel risultare, alla lunga, forse un po’ troppo dispersivo per i meno avvezzi al genere. The Money Store è in ogni caso un lavoro da prendere più che in considerazione, in particolare se volete qualcosa di cazzuto ma non necessariamente ricolma di growl.

Editors – The Back Room [2005] – GOOD
Con l’inizio degli anni 2000 le band indie hanno iniziato a proliferare come dei conigli in calore. Alcune erano ascoltabili, altre facevano cagare mentre altre ancora proprio non si potevano sentire. Però ce n’erano alcune brave, dai. Gli Editors possono entrare in quest’ultima categoria. Il loro album di debutto, The Back Room, si fa ascoltare tutto d’un fiato, risultando vario e privo di punti morti. Non sarà l’album più originale del mondo, ma ehi, se ti piace l’indie con una passata di Post-punk Revival, che male c’è?

Green Day – American Idiot [2004] – GOOD
No, non sono impazzito. Reputo sul serio American Idiot un buon album. Magari non eccellerà per virtuosismi, melodie, originalità, cazziemazzi, ma ha delle buone canzoni al suo interno, e anche voi in fondo lo sapete. Magari un po’ commerciali, okay, ma sempre belle canzoni. E non venite a raccontarmi stronzate del tipo “i veri Green Day erano quelli di una volta, gnegnegné”. Ogni band ha bisogno di rimodernarsi a modo proprio. I Green Day hanno scelto il modo più subdolo per farlo, ma l’hanno fatto bene, ed è questo che conta. E poi dico io, c’è “Wake Me Up When September Ends”.

James Blake – James Blake [2011] – VERY GOOD
Credetemi, darvi una descrizione di quest’album è veramente difficile. Solo immergendovi in questo flemmatico marasma di suoni minimali potreste capire cosa intendo di preciso. Suoni elettronici si mischiano ad altri più soul, dando vita ad un viaggio verso i confini dei meandri musicali fino ad oggi conosciuti. James Blake, artista da cui prende titolo anche  il nome dell’omonimo album, è un lavoro di pregevole fattura, il cui ascolto non dovrebbe essere precluso a nessun amante della musica che si rispetti. Forse un difetto però ce l’ha: finisce troppo presto.

Jesu – Conqueror [2007] – GOOD
Uno degli esperimenti più riusciti di un genio musicale. L’esperimento che personalmente mi è piaciuto di più. Jesu è un progetto nato dalla mente di Justian Broadrick. Un progetto che si è prefissato, fin dalla sua prima uscita con Conqueror, di portare all’estremo la matrice industrial che ha sempre contraddistinto le band di Broadrick, mescolando Shoegaze, Post-rock e Ambient, evolvendo quel meraviglioso groviglio di suoni in meravigliose melodie crepuscolari. Justin Broadrick non delude mai.

Mogwai – Young Team [1997] – VERY GOOD
Da più di un decennio i Mogwai rappresentano il principale sinonimo alla definizione di “Post-rock”. Questo grazie e soprattutto al loro album d’esordio, Young Team, che rappresenta per la corrente di cui fa parte quello che a fine anni ’60 simboleggiava The Piper At The Gates Of Dawn per i Pink Floyd e per l’intero Rock Psichedelico. Un anello di congiunzione che fa nascere quella che io definisco “svolta musicale”. Un opera che riesce a ridefinire con decisione lo stacco musicale fra il grezzo e primitivo Post-rock degli Slint a quello attuale dei Sigur Rós di turno. Semplicemente imprescindibile.

Muse – The 2nd Law [2012] – VERY BAD
Spesso oltremodo incensati dal pubblico, altrettanto spesso smerdati più del dovuto dalla critica. Sembrava che i Muse ci avessero fatto ormai il callo, ma evidentemente non è stato così. Deciso a sfatare questa usanza ormai consolidata, il frontman Matt Bellamy ha iniziato da hyppare 2nd Law a più non posso, promettendo una vera e propria rivoluzione musicale. Masticazzi, aggiungerei io. L’intero album è un minestrone mal riuscito di suoni e melodie che non c’entrano praticamente un cazzo l’una con l’altra. Volevano accontentare tutti, ma alla fine hanno avuto il risultato contrario.

Sigur Rós – ( ) [2002] – VERY GOOD
Per tutte le grandi band, il passo più difficile risiede in quello successivo. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, diceva Ben Parker. Quella che secondo me sarebbe una sua declinazione musicale farebbe più o meno così: “da un grande album, deriva un seguito ancora più grande”. Ed è con ( ) che i Sigur Rós riescono a compiersi definitivamente. Nonostante sia snobbato dai più, ( ) è l’opera che più rappresenta l’animo della band islandese. Un progetto freddo all’esterno come le sue terre d’origine, ma caldo come i geyser che li attraversano. Se l’emozione avesse un suono sarebbe sicuramente un brano di quest’album.

Slipknot – Vol. 3: The Subliminal Verses [2004] – GOOD
Non sono mai stato un grande amante degli Slipknot. Per dirla tutta, fino a qualche anno fa, ero fra i loro principali detrattori. Odiavo tutto ciò che veniva amato dai poser metallari del cazzo, e gli Slipknot e quel loro batterista esageratamente divinizzato mi facevano una rabbia incredibile. Poi però cresci, ti equilibri nei giudizi, e capisci che, in fondo, hai avuto sempre ragione. Nonostante ciò, a conti fatti Vol. 3 (The Subliminal Verses) risulta essere un album più che buono. Le ritmiche sono in generale meno casinare e più metal, riuscendo così a dare un’identità più credibile a “sta banda di coglioni mascherati”.

System of a Down – Toxicity [2002] – GOOD
L’album della maturazione. Può essere definita così la seconda uscita dei System of a Down. Come per gli Slipknot, i SOAD non sono mai stati fra le mie grazie. Ascoltando Toxicity per la prima volta mi sono però trovato davanti ad un bivio morale: ammettere che si trattava di un grande album, oppure smerdarlo semplicemente. Ma, come ho detto poc’anzi, si cresce. E, nonostante non mi mandi in erezione istantanea come succede a molti, Toxicity risulta essere comunque un ottimo album, che riesce a dare qualcosa di nuovo, di fresco al panorama del metal moderno, che appare anno dopo anno sempre più scialbo e ripetitivo.

The Libertines – Up the Bracket [2002] VERY GOOD
Ragazzi, questo è un album con i controcoglioni. Mettete da parte ogni eventuale antipatia nei confronti di Pete Doherty, mettetevi comodi, buttate le cuffie dalla finestra e alzate il volume dello stereo A PALLA. L’album scorre che è una bellezza, mentre inavvertitamente, contro la nostra volonta, il nostro corpo si alzerà, cominciando a muoversi e agitandosi. Questa è pura carica Rock. Non c’è nient’altro da dire. L’unica pecca risiede forse nel fatto che, traccia dopo traccia, l’album perde  un tantino d’impatto energetico. E fanculo Kate Moss.

Three Days Grace – Transit Of Venus [2012] BAD
Niente di che. L’ultimo album dei Three Days Grace non è niente di che. Scorre normale, liscio, e a tratti si fa anche piacere. Ma è un classico more of the same. E di more of the same da parte di Adam Gontier e soci, personalmente, ne sono un po’ stufo. Con Life Starts Now sembrava si potesse tracciare un nuovo percorso artistico, ma con quest’ultima uscita è chiaro il passo indietro scelto dalla band. C’est la vie.

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